Un invito a tavola
Luigi Pirandello – 1902
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Texto original, em italiano, do conto "Un invito a tavola" de Luigi Pirandello |
- Basterà? non
basterà? - si domandavano, guardandosi negli occhi, in cucina, le tre sorelle Santa, Lisa e Angelica Borgianni, impegnate
da due giorni ad ammannire un pranzo da gran signori.
Santa, la
minore, era piú alta di Angelica; Angelica, di Lisa, la maggiore. Tutt'e tre, del resto, poppute e fiancute, gareggiavano coi
fratelli per la statura colossale e per la forza erculea.
- Famiglia Borgianni: otto
colonne! - soleva dir Mauro, il minore dei fratelli e
dell'intera famiglia.
Tre
sorelle, dunque, e cinque fratelli: Rosario, Nicola, Titta, Luca e Mauro, in
ordine di età.
Rosario e Nicola attendevano alla
campagna, Titta badava alla zolfara presso il borgo
Aragona; Luca faceva l'appaltatore dei lavori pubblici di quasi tutto il
circondario; Mauro aveva la passione della caccia, e faceva il cacciatore.
Rosario Borgianni era famoso pe' suoi giovanili furori di bestia feroce. Si raccontavano
di lui le piú temerarie avventure ai tempi nefandi del
brigantaggio, naturalmente accresciute e abbellite dalla fantasia popolare. Si
voleva finanche ch'egli avesse un giorno tenuto testa a una dozzina di
briganti, fra i piú sanguinarii, e che li avesse
uccisi tutti. Esagerazione! Quattro soltanto: due, nella sua stessa campagna, e
gli altri due lungo la via che da Comitini discende ad
Aragona.
Anche di Mauro se ne
raccontavano di belle. Un giorno, per esempio, a caccia, cadde dalla vetta del Monte delle Forche: rimbalzò tre volte, giú per tre
ciglioni selvatici, e ogni volta, rimbalzando con lo schioppo alto in una mano,
esclamava.
- Fortuna, che
sono ballerino!
Ne
riportò tuttavia una frattura alla gamba destra e una leggera commozione
cerebrale: lui, che il cervello veramente non aveva avuto mai bene a segno.
Un'altra volta, a caccia, scorse tre o quattro storni su la schiena d'alcuni buoi pascolanti
su una costa. Cheto e chinato s'avvicina e, appena a tiro, bum! una schioppettata. Balza dalla fratta, in potere di tutti i
diavoli, il boaro.
- Fermo lí! - gli grida Mauro, in
guardia. - Se fai un altro passo, ti mando a gambe all'aria!
- Ma come, signor Mauro! Le mie bestie...
- E non sai, minchione, che dove vedo caccia, sparo?
- Ma anche su la
schiena delle bestie?
- Anche sul capo di Gesú Bambino, se
scambio lo Spirito Santo per un piccione!
Il pranzo pareva apparecchiato per trenta
invitati, a dir poco; l'invitato invece era uno solo, e neppure si sapeva chi
fosse. Si sapeva soltanto che sarebbe arrivato il
giorno appresso da Comitini, e che gli si doveva questo pranzo a titolo di
ringraziamento per il ricetto prestato al fratello Luca, l'appaltatore,
latitante da quindici giorni.
Omicidio? Sí... cioè,
no: ma quasi. Ecco: Luca Borgianni aveva preso in appalto la
costruzione dello stradone tra Favara e Naro. Una sera, sospesi i lavori, nel
tornarsene a cavallo, a un certo punto della via aveva
veduto un'ombra allungarsi minacciosa su la ghiaia rischiarata dalla luna.
Qualcuno, senza dubbio, stava lí alla posta, incappucciato. Luca lo aveva
scorto, per fortuna; o meglio, aveva scorto il
cappuccio. Gli era parso che il furfante se ne stesse
accoccolato per ripararsi dalla luna che veniva lentamente sú dal colle a
manca.
- Chi è là?
Nessuna risposta.
Tra-ta; tra-tà: sú, per precauzione, i
cani del fucile. E un grillo
s'era messo a cantare.
Allora Luca, di nuovo, fermando il cavallo:
- Chi è là?
Silenzio. Solo il
grillo a cantare.
- Conto fino a tre!
- aveva gridato infine Luca, impallidendo. - Se non rispondi, fatti la croce. Uno!
L'ombra non s'era scomposta.
- Due!
L'ombra, lí, ferma, impassibile. E
silenzio. Soltanto il grillo a cantare.
- Tre!
E una schioppettata. Qualcosa era saltata
per aria: e Luca, dàlli al cavallo! Era arrivato a
casa, che non tirava piú fiato. Fratelli e sorelle gli
erano accorsi intorno.
- Nascondetemi! nascondetemi!
- Perché? Ferito?
- No... ammazzato...
- Tu? Chi?
- Uno... non
so... Col fucile... Nascondetemi!
I fratelli lo
avevano tolto di peso e portato per il momento giú in cantina. Intanto Mauro
era uscito di casa per appurare se già in paese si buccinasse qualcosa intorno
all'omicidio. Rosario e Titta avevano atteso impazienti che
Luca, lí in cantina, si fosse rimesso un po' in forze per condurlo fuori, in
luogo piú sicuro: avevano già pensato al rifugio, presso un loro compare di
Comitini, dove Luca si sarebbe recato la notte stessa, cavalcando alla porta
del paese. Nicola, armato fino ai denti, era partito per aggirarsi attorno al luogo designato dal fratello e cercar cosí di sapere di
che, di chi si fosse trattato. Luca finalmente s'era potuto mettere in cammino.
Il giorno dopo, all'alba, ecco Nicola.
- Ebbene?
- Nulla! Ho trovato soltanto un
ferrajuolo col cappuccio per terra. Certo il ferito
s'è trascinato in paese, lasciando il ferrajuolo lí, bucherellato in piú
parti... Luca spara come un Dio! Deve averlo ferito mortalmente, a giudicare
dal ferrajuolo... Io non capisco: due buchi grossi cosí nel cappuccio, dunque
in testa... Bell'e andato!
Eran passati tre
giorni in attesa angosciosa. Non si sapeva nulla in paese; né dai paesi vicini si aveva notizia d'alcun ferimento o caso
di morte violenta. Dopo sedici giorni, alla fine, s'era venuto a sapere che un contadino, lavorando in quei dintorni, si era servito
per attaccapanni d'una pietra miliare lungo lo stradone; aveva incappucciato la
colonnina col ferrajuolo, e la sera se n'era tornato in paese,
dimenticandosene. Luca aveva tirato contro quella colonnina, scambiandola per
un appostato.
Ora il pranzo,
ecco, era lí, pronto fin dalla vigilia, su la lunga tavola in mezzo alla
stanza: una pallida porchetta illaurata, ripiena di maccheroni, in una teglia
da mandare al forno; sette lepri scojati con contorno di tordi, uccisi da
Mauro; due tacchini pettoruti; abbacchio; trippa e cute affettate; piedi di bue
in gelatina; un gran pesce salsito; un enorme pasticcio; poi un reggimento di
fiaschi e frutta in quantità.
- Basterà? Non basterà?
Titta diceva di sí; Mauro di no; e faceva
il conto:
- Noi, otto e,
con l'invitato, nove; il servo e la serva undici. Per grazia di Dio, ognuno di
noi mangia per quattro, e... e...
- Non dubitare; l'invitato non patirà, -
assicurava Titta.
Questa conversazione avveniva su la mezzanotte, intorno alla tavola: fratelli e sorelle,
tutt'e sette, avevan lasciato il letto pian piano, spinti dal medesimo
desiderio di vedere che effetto facesse il pranzo apparecchiato; e cosí eran
convenuti a uno a uno in camicia, con una candela in mano, com'ombre
nottambule. Tra Titta e Mauro poco dopo s'accese il
diverbio. Mauro brandí una lepre e minacciò il
fratello. Vennero alle mani.
- Mazurka! Mazurka! - esclamò in quella
Angelica, udendo per fortuna i mandolini e la chitarra
d'una serenata giú per la via.
- La Notturna! - esclamò Santa
contemporaneamente, battendo le mani e trascinando la
sorella a danzare, tutte e due in camicia.
Gli altri allora seguirono l'esempio:
Lisa si buttò tra le braccia di Titta, Rosario
s'appajò con Nicola, e Mauro, rimasto solo, si mise anche lui a ballare con la
lepre dalle orecchie svolazzanti, ridendo allegramente.
Nessuno, a prima giunta, fra le strette di mano, gli abbracci e i baci e le domande al
fratello Luca (la piú alta colonna della famiglia) badò a un omicello d'età
incerta, oppresso da un enorme copricapo che gli sprofondava fin su la nuca,
sorretto ai lati dagli orecchi ripiegati sotto il carico. Il poverino pareva
commosso dalle espansioni di affetto di quegli otto
colossi, i quali non avevano un solo sguardo per lui già tutto smarrito, cosí
piccino che non arrivava neppure (compreso il cappello) a le spalle di Lisa, la
piú bassa tra le sorelle.
- Oh, aspettate: vi presento don Diego Filínia, inteso Schiribillo, - disse alla fine
Luca, sovvenendosi. E gli posò una mano su la spalla,
con aria di protezione, sorridendo.
-
Dio, com'è piccolo! - esclamarono allora, a coro,
scorgendolo, le tre sorelle. - Schiribillo?
- Complessione, signore mie... nomignolo... - fece don Diego,
togliendosi dal capo il gran cappello e sorridendo con umiltà impacciata.
Tutti lo guardarono con occhi pieni di
profonda commiserazione, cosí scoperto, senza un capello
sul cranio lucido, ovale, protuberante; e non trovarono una parola da dirgli.
Oh delusione! Quello lí, l'invitato? E allora... A saperlo avanti!
- Perché piange? - domandò Angelica, dopo averlo osservato a lungo, col volto atteggiato di
nausea e di pietà.
- Piange? - fece Luca, voltandosi,
abbassandosi, e guardando in faccia da vicino il
minuscolo invitato.
- Non piango, no, - rispose don Diego, che stava per recarsi all'occhio destro un gran
fazzoletto di cotone a fiorami.
- Nel venire, mi s'è cacciato un bruscolo
in quest'occhio qua... Non piango.
- Ah... - esclamarono, rassicurati, i
colossi.
Don Diego dagli occhi si recò il fazzoletto al naso lievemente, come per ricevervi di
furto una gocciolina.
- Si tolga da le
spalle codesto mantello... - gli suggerí Santa.
- No no... per carità, me lo lascino! - si schermí don
Diego. - Se, Dio liberi, mi metto a sternutire, son capace di farne cento di
fila... Tengo il mantello sempre con me.
E sospirò: - Sí! - poi: - Sí... sí... - ancora due volte, imbarazzato
dal silenzio sopravvenuto, stropicciandosi continuamente una manina con l'altra
e tenendo gli occhi bassi.
Nessuno sapeva risolversi a parlare, e
quella perplessità diveniva di minuto in minuto piú penosa.
- Abbiamo davvero l'obbligo, - cominciò a
dire finalmente Luca, - di restar grati a don
Schiribillo del gran favore e delle cortesie usatemi durante il soggiorno in
Comitini.
- Noi lo ringraziamo con tutto il cuore! - disse allora Rosario, tendendo una mano
all'ospite. - Come si chiama? Schiribillo?
- Prego... no:
Filínia; mi chiamo Filínia, - fece don Diego, sorridendo umilmente.
- Fate conto che
la nostra casa sia vostra, - aggiunse Nicola, stringendo a sua volta la mano
all'invitato e guardando gli altri fratelli come per dire: «Adesso a voi; io ho
detto la mia».
Titta e Mauro, uno dopo l'altro,
seguirono l'esempio e dissero la loro, avanzandosi
d'un passo, militarmente, e stringendo dopo il complimento la mano a don Diego,
il quale non seppe allontanarsi da quel suo: «Prego, prego» in risposta.
Non fu possibile cavare una parola di
bocca alle tre sorelle deluse.
Si parlò dell'avvenimento per cui Luca si
era reso latitante.
- Ma che
colonnina! - esclamò questi indignato. - Uomo in carne e ossa era, là, appostato! Se alla schioppettata ho sentito un grido,
io, con questi orecchi... Vorrei saper piuttosto chi sia il
buffone che ha messo in giro la storiella. Gli farei
vedere se è lecito ridere alle spalle di Luca Borgianni!
- Basta, basta... - disse Rosario. - Chi
sia, l'ha detto. Adesso non se ne parli piú. Pensiamo
per oggi a divertirci.
Don Diego approvò col capo, non perché si
promettesse un divertimento, poverino, tra quegli otto
giganti; ma per tôr di mezzo ogni lite. Non si sa mai!
Attendendo la
chiamata a tavola, Rosario e Nicola cominciarono a discorrere con l'invitato
delle cose della campagna, delle cattive annate e delle buone. Don Diego, con
l'umiltà sua, si rimetteva costantemente nelle mani di Dio; ma questa
remissione a un certo punto fece uscir dai gangheri Nicola.
- Ma che mani di
Dio! Ci vogliono braccia d'uomini per la terra! Queste
qua, guardate, Schiribillo!
E mostrò a Don Diego, protese e con le pugna serrate, le erculee braccia, come se lui fosse
solito di pigliare a cazzotti la terra per costringerla a rendere ogni anno piú
del dovere.
- E queste qua, benché vecchie e
faticate! - esclamò Rosario, mostrando le sue.
Allora anche Titta e Mauro vollero
mostrar le loro, tirando su le maniche della giacca e
della camicia. Il povero Don Diego si vide puntate sotto il
naso otto braccia nerborute, buone da accoppare otto buoi.
-Vedo... vedo...
- diceva a ognuno, guardando le braccia e sorridendo
con una meraviglia mista di costernazione. -Vedo... vedo...
- Toccate! Toccate! - gl'intimarono i fratelli Borgianni.
E don Diego
toccò pian piano con un dito tremante quelle braccia, mentre con l'altra mano
si recava sotto il naso il fazzoletto per paura qualche gocciolina non vi
cadesse sopra, Dio liberi!
- A tavola, - venne ad annunziare Santa,
mollemente.
- Schiribillo, a tavola! - gridò Mauro. -
Lasciate fare a noi. Crescerete... Mangerete tanto, che
non vi sarà piú possibile uscire dalla porta. Vi caleremo imbracato e satollo
da una finestra.
- Son di pochissimo appetito, - premise don Diego, per ogni buon fine.
- Dove prenderà posto l'invitato? -
domandò sottovoce Titta alle sorelle.
- Tra Rosario e Lisa, - propose Mauro.
Lisa si ribellò:
- Noi tre donne
ce ne staremo in disparte.
Don Diego prese posto tra Rosario e
Nicola. Gli otto Borgianni, appena seduti a tavola, si
riempirono di vino i grossi bicchieri da acqua.
- Per farci la
croce! - disse Rosario solennemente.
E giú!
- Voi, don
Diego, non bevete? - domandò Titta.
- Grazie, prima del
pasto, mai, - si scusò l'ospite timidamente.
- Eh via, per
aprir l'appetito, - gli suggerí Nicola, dandogli in mano il bicchiere.
Allora don Diego
lo accostò alle labbra, per cortesia, e lo scoronò appena appena con un
sorsellino cauto.
- Giú! giú fino
in fondo! - lo incitarono gli otto Borgianni.
- Non posso... grazie, non posso...
Mauro si levò da sedere:
- Lo riduco io a ragione, aspettate!
Prese con una mano il
bicchiere, con l'altra il capo di don Diego e, dicendo: - Lasciatevi servire! -
lo vuotò in bocca al poveretto invano riluttante.
- Oh Dio! - singhiozzò, balzando in
piedi, don Diego, mezzo affogato, con gli occhi pieni
di lagrime. - Oh Dio!
E s'asciugò il
sudore della fronte, tra le risa della tavolata.
- Guardate, oh! Gli è uscito dagli occhi!
- osservò Angelica, beffardamente.
Venne in tavola la
porchetta imbottita. Rosario si levò in piedi; trinciò le
parti: la piú grossa a don Diego.
- Troppa roba... troppa...
troppa... - disse questi col piatto in mano.
- Che troppa! - esclamò Nicola. - Non
cominciate!
- La metà, prego... - insistette don Diego. - Non mi è possibile... Io sono parco...
- Parco? E codesta è carne di porco!
Mangiate! - gridò Mauro, levandosi un'altra volta da sedere.
Don Diego, spaventato, chinò la testa sul piatto e si mise a mangiare zitto zitto.
Mangiarono quel primo servito in
silenzio, tutti. Solo, di tanto in tanto, appena l'invitato accennava di posar
furtivamente la forchetta:
- Mangiate! - gli ripetevano i colossi. -
Fino all'ultimo boccone!
- E adesso proprio non mi è piú possibile
mandar giú dell'altro! - protestò don Diego, con
qualche energia, dopo aver finito la porzione, traendo un gran sospiro di
sollievo.- Ho fatto, come suol dirsi, quanto Carlo in Francia.
- Che dite? - rimbeccò Mauro. - Se
abbiamo cominciato appena adesso...
- Eh, loro, va bene... - osservò,
sorridendo, don Diego. - Hanno la
capacità, Dio li benedica... Io dico per me...
- E per chi ci prendete? - si rinzelò
Titta, accigliato.- Credete che noi invitiamo a tavola
per un sol piatto e lí? Attendete a mangiare e fate l'obbligo vostro. Noi dobbiamo
disobbligarci.
- Ma non faccio offesa, - s'affrettò a
scusarsi don Diego.- Dico che io...
- Voi mangerete! - tagliò corto Rosario. - Ecco la caccia di
Mauro.
- Una lepre e cinque tordi? - esclamò
atterrito don Diego. - Lei sbaglia, signor mio! Abbia pazienza:
come può immaginarsi che io...
- Senza storie! senza
storie! - disse Nicola, con fare sbrigativo.
- Ma mi guardino un po', - rispose don Diego. - È possibile? Dove la
metto? Non vorranno mica che ci lasci la pelle...
- Quale pelle? - domandò Rosario. - Non
dovete lasciarci nulla. La lepre è scojata.
- Dico la mia,
dico la mia! Dove la metto una lepre?
- Vi ho dato pure cinque tordi...
- Per giunta! Ci avessi la lupa... Mangerò questi soltanto.
- Orsú! - proruppe Mauro, brandendo
un'anca di lepre a cui dava a leva coi denti. -
Codesta caccia l'ho fatta io. Mi sono rotte le gambe
per voi, tre giorni di seguito. Se non mangiate tutto, sarà un'offesa diretta a
me personalmente.
- Non si alteri... non
si alteri, per carità! Mi proverò...
E, tra sé e sé, il
povero don Diego raccomandò l'anima a Dio misericordioso.
Mangiando, i sudori cominciavano a
colargli dalla fronte. Alzava un po' gli occhi: vedeva quegli otto demonii scappati dall'inferno non finir mai d'imbottar
vino, vino, vino. E:
- Cristo, ajutami! - si lagnava piano,
tra sé.
Il pranzo non finiva mai. Don Diego
avrebbe voluto piangere, rotolarsi per terra, dalla disperazione, graffiarsi la faccia, sgangherarsi la bocca, dalla rabbia. Che crudeltà
era quella? Neroni! Neroni! Ma non aveva piú forza neppure di scostare il piatto: posate, bicchieri, bottiglie gli turbinavano
davanti agli occhi su la tavola, e gli orecchi gli rombavano, le pàlpebre gli
si chiudevano sole; mentre gli otto Borgianni, già ebbri, urlavano, gestivano
come energumeni, or levandosi, or sedendosi e ingiuriandosi a vicenda.
Adesso, se don
Diego scostava un po' il piatto, dicendo come a se stesso: - Non ne voglio
piú... non ne voglio piú... - gli otto
giganti sorgevano in piedi, coi coltelli da tavola in pugno, e i due piú
vicini, minacciandolo alla gola, urlavano:
- Mangiate, don
Minchione! Per voi è stata fatta la spesa!
Don Diego non era piú di questa terra,
quando tra le pàlpebre semichiuse gli parve di
scorgere su la tavola come una gran mola d'arrotino. Fece allora un vano
tentativo di levarsi, di fuggire.
- Oh Dio, m'hanno legato alla seggiola! -
gemette, e si mise a piangere.
Non era vero: gli pareva cosí, povero don Diego! Rosario si alzò quant'era lungo col trinciante in
mano. Parve a don Diego che toccasse col capo il
soffitto e che avesse in pugno una mannaja per giustiziarlo.
- Metà a don
Diego! - gridò Rosario, tagliando a mezzo l'enorme pasticcio, che al poveretto era sembrato una mola d'arrotino.
- L'altra metà al
vicinato! - propose Angelica.
- E noi? - domandò Mauro. - Noi niente?
Io voglio la mia parte!
Luca sorse in favore della proposta di
Angelica.
- Al vicinato! al
vicinato!
Don Diego pendeva da quella lite,
esterrefatto.
- E allora io, per prepotenza, mi prendo la mia! - proruppe Mauro, levandosi e stendendo la mano sul pasticcio.
Ma Luca fu piú svelto: prese il pasticcio e, inseguito dalla famiglia, tra le grida, gli
strappi, gli spintoni, andò a buttarlo da una finestra. Seguí una rissa
furibonda: fratelli e sorelle s'accapigliarono:
strilli, pugni, schiaffi, sgraffi, seggiole rovesciate, bottiglie, bicchieri,
piatti in frantumi, il vino sparso su la tovaglia; un pandemonio! Rosario salí
in piedi su una seggiola; gridò con poderosa voce:
- Vergogna! Che spettacolo! Abbiamo un
invitato a tavola!
Al fiero richiamo quei furibondi
ristettero a un tratto, come per incanto. Cercarono l'invitato: dov'era? dove s'era cacciato?
Su la seggiola
il mantello, sotto la tavola un pajo di scarpe. Il disgraziato se l'era
svignata a piedi scalzi per correre piú spedito.
- In fin dei conti, è andato tutto
bene... - dicevano tra loro poco dopo gli otto
Borgianni, rassettati. - Tutto bene, tranne il servito
della frutta.
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